Il vestito dello sposo | Ricordi di storia locale | Io resto a casa
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USI E COSTUMI DI UN TEMPO - UN RACCONTO DI «NANI BARBA»
Comiotto Giovanni Silvestro, conosciuto da tutti per «Nani Barba», arguto e saggio vegliardo di Carve, mi spiegava con calore e piacevole brio che, fino ai primi del Novecento, lo sposo, in occasione del matrimonio, doveva regalare al suocero e alla sposa un paio di scarpe.
Per la cerimonia nuziale l’uomo portava possibilmente un vestito blu o scuro, oppure pantaloni lunghi di color scuro o grigio (braghese o braghe) con un gilè dello stesso colore dei pantaloni.
La camicia che indossava, era molto ampia e lunga, con maniche a sbuffo strette ai polsi. Il colletto era a fascetta e tante camice venivano abbellite con piccole pieghe sul petto.
Per i più ricchi (i bacani) ai lati della abbottonatura, la camicia da sposo aveva pizzi elegantemente lavorati ad uncinetto. Mi diceva che anche gli uomini e così le donne, fino alla fine dell’ottocento, non portavano mutande e perciò la camicia ne doveva fare le funzioni. Sopra la camicia, i più poveri mettevano solo il «crosat» (gilè) di lana o mezzalana, dello stesso colore delle «braghe».
Questo indumento aveva l’abbottonatura a doppio petto e nel taschino a sinistra, che l’aveva, metteva l’orologio, che veniva fissato ad una delle asole con una catenina d’argento.
La giacca (jacheta) era un capo piuttosto raro a quei tempi e pochi la possedevano. Quando un giovane doveva sposarsi, di sovente, la chiedeva in prestito a qualche parente o amico; Infatti, Nani, facendo una lunga pausa e riprendendo con un sospiro pieno di tristezza, affermava che la giacca allora era considerata un lusso. Era per solito di lana o mista con cotone, come i pantaloni; aveva maniche alquanto ampie che terminavano strette ai polsi ed era prevalentemente di color grigio scuro o blu.
Questo simpatico vecchio alpino mi spiegava con meticolosa precisione che la sposa teneva in testa un fazzoletto di seta a fiori, ma prima di entrare in chiesa per la cerimonia, la madrina glielo toglieva e glielo metteva uno di «tulle» tutto bianco, lo sposo invece sostituiva una berretta color giallo o grigio, se l’aveva, con un cappello nero a tesa larga.
A quel tempo era molto raro che lo sposo potesse comperarsi un paio di scarpe di cuoio e se era così fortunato da venirne in possesso, queste gli duravano una vita intera, poiché le calzava soltanto nei giorni festivi e nelle grandi occasioni.
Da quanto avete sentito, il potersi vestire con decoro per la cerimonia nuziale, spesso, diventava un vero e grosso problema.
Nani mi raccontava di essere stato veramente fortunato, perché, quando nell'aprile del 1923 si sposò, poté indossare il vestito che aveva ricevuto in un pacco di vestiario nel novembre 1918, come dono del Governo Italiano, perché ex combattente.
Articolo scritto da Nino Sartori nel 1982.